Tanto si è già scritto su questo progetto deliberato nel novembre 2006 e presentato ufficialmente al pubblico durante la seconda edizione del Festarch (video). Distacchiamo solo alcuni dei tanti punti che hanno attirato la nostra attenzione relativamente a questo progetto.

Innovativo è l’approccio al problema, che parte da un accordo siglato tra Regione e Università di Cagliari per la realizzazione di un workshop internazionale, SEW 07, che coinvolgesse 30 giovani sardi per la redazione dello studio di pre-fattibilità del progetto, coordinati da tre equipe , una del Politecnico di Milano (POLIMI), una dell’Office for Metropolitan Architecture (OMA) e uno dell’Università di Cagliari (UNICA), che hanno affrontato la riqualificazione del quartiere secondo tre ottiche distinte. Lo studio del Polimi si è incentrato sull’aspetto sociale del tema, con le immagini dei palazzoni che parlano e raccontano i problemi degli abitanti del quartiere; quello di OMA è stato infuocato sull’importanza del programma, della idea forte e dell’immagine nuova su cui appoggiare l’ipotesi di riqualificazione; e quello di Unica, forte della sua conoscenza più approfondita del contesto, è stato maggiormente attento alle trasformazioni possibili, focalizzando l’attenzione sul restyling dello stadio, dei palazzoni e del viale Ferrara, “declassato” da asse di scorrimento a viale urbano. Da questo intenso workshop di un mese i cui lavori furono aperti e presentati ai cittadini di Sant’Elia nell’aprile 2007, lo studio di Rotterdam ha preso le idee chiave per sviluppare lo studio di fattibilità del masterplan.

Dal punto di vista architettonico OMA ha individuato come critico il piano piastra che caratterizza gli edifici del Favero e delle Lame, nato come spazio comune e centro della vita del quartiere e invece oggi simbolo del degrado e della insicurezza. Primo passo di attuazione per il masterplan è quindi la ristrutturazione dei piani residenziali e la redifinizione generale dei primi due piani dei complessi edilizi, trasformandoli in parte in spazi per le attività commerciali e artigianali e in parte adibendoli ad alloggi duplex, di grande interesse per le opportunità date dalla doppia altezza.
Secondo punto forte del masterplan è la riappropriazione del mare da parte del quartiere, integrandolo all’interno di una grande banda di servizi che comprende il museo Betile, i progetti per la fiera campionaria, i progetti per il Magazzino del sale di Nervi, lo stadio e il porticciolo pescatori con servizi annessi, fortemente voluto dal Comune. E che conclude il progetto di riqualificazione del frontemare cagliaritano deliberato recentemente dalla giunta comunale, comprendente il piano regolatore del porto e il piano di utilizzo del litorale.

Per lo stadio, troppo grande per le sue attuali esigenze e senza i requisiti di sicurezza, si propone un ridimensionamento e uno spostamento verso la costa, con una finestra visuale sul mare: un lato aperto verso il museo che possa rappresentare un elemento di forte impatto mediatico durante partite e grandi eventi. Su questo punto non poche sono le perplessità sull’opportunità di ricostruire lo stadio al fianco del Betile, e non considerare la possibilità di spostarlo in aree più facilmente raggiungibili da tutti i cittadini della Sardegna (questa è la vocazione di tale stadio), meno vincolate all’impatto ambientale, più logisticamente funzionali e che consentirebbero la riqualificazione e infrastrutturazione di aree oggi dell’hinterland.

Per risolvere infine il problema dell’isolamento si propone di creare una continuità urbana per collegare il quartiere, e il complesso Del Favero in particolare, al resto della città. Ed è questa la parte meno chiara e più impattante del progetto perché, sebbene con differenti potenzialità edificatorie e tipologie residenziali, rappresenta la scelta di risolvere i problemi della segregazione di Sant’Elia aumentandone notevolmente la densità abitativa dell’area, costruendo un vero e proprio nuovo quartiere nell’area in cui oggi sorgono lo stadio e i parcheggi. Intelligente riqualificazione e riconnessione urbana o mera operazione di speculazione edilizia? Con la motivazione (pretesto?) di riqualificare un quartiere degradato e di “dare a Cagliari ciò di cui ha bisogno” (leggi “aree per edilizia residenziale”) si pianifica una grande operazione immobiliare in uno dei posti dal più alto valore ambientale e strategico rimasti in città. Ma siamo sicuri che sia realmente questo ciò di cui Cagliari ha bisogno? Non ha bisogno piuttosto di spazi pubblici soprattutto là dove più interessanti e godibili sono le sue qualità? E soprattutto ha senso continuare ad accettare di parlare di Cagliari intendendola sempre come mero limite amministrativo in cui non ci sono più aree edificabili (salvo la piana di San Lorenzo), e non si inizia a parlare e agire come area metropolitana in cui si potrebbero programmare più attentamente i servizi e le nuove aree residenziali, potenziando il trasporto pubblico intermunicipale e preservando così importanti spazi strategici per la città.
Ne deriva un masterplan sicuramente importante per la città di Cagliari e che porta importanti novità nel quartiere; che prevede un’integrazione di usi, funzioni e mix sociale (non solo residenze private ma anche edilizia sovvenzionata, uffici, artigianato e commercio), ma che ancora lascia aperti dubbi sulla sua attuazione e sull’opportunità di alcune scelte progettuali ancora poco chiare (la riubicazione dello stadio, la densità edificatoria del nuovo quartiere, la costruzione di alcune torri come porte del quartiere tra viale Ferrara e viale Sant’Elia, la scarsa dotazione di servizi turistici in un’area dalle grandi potenzialità)
tratto da Sardarch
http://www.sardarch.it/index.php/2009/oma-concept-masterplan-per-santelia-cagliari/